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La rivoluzione tecnica, accentuatasi particolarmente in questi ultimi anni, ha contribuito enormemente a diffondere non solo la coscienza politica nei paesi coloniali, bensì anche la democrazia sociale nei paesi industrializzati.

Il potenziamento dei massmedia e la loro diffusione capillare, l’ammodernamento e l’accrescimento dei mezzi di trasporto, hanno portato beni materiali e idee persino nei più piccoli e sperduti villaggi nell’ambito dei paesi industrializzati. Non così è avvenuto nei paesi del terzo mondo e in quelli del quarto, dove ancora infinite sono le morti per fame, sicché si è realizzato un modo di vivere radicalmente diverso rispetto a qualche decennio trascorso. Il tenore di vita delle classi sociali inferiori si è notevolmente avvicinato a quello delle classi superiori. Così è cambiato anche il modo di pensare delle classi inferiori e persino quello dei singoli individui che vi appartengono. Mentre fino a qualche decennio fa, nonostante le dottrine sociali marxiste e quelle cattoliche, che pure predicavano la loro emancipazione, il senso della loro indipendenza e della loro uniformità con le superiori, le classi sociali inferiori erano disposte anche nei paesi più altamente più civilizzati all’obbedienza supina verso le classi superiori specie nelle campagne e nei villaggi più lontani dalle grandi città. Ora non è più così. Il contadino, il bracciante, l’artigiano, il piccolo commerciate ecc., non si sentono per nulla inferiori all’insegnante, all’impiegato, al libero professionista, perché sanno di poter godere degli stessi benefici. E se pure qualche categoria di liberi professionisti possiede una certa quantità di denaro maggiore della loro, ciò non li frustra psicologicamente perché la potenza coartante del denaro è diminuita rispetto al passato. Le dottrine liberali pure sono ormai scomparse. Ad esse sono subentrate quelle sociali, quelle socialisteggianti se non addirittura quelle collettiviste, sebbene queste ultime non si siano mostrate all’altezza di risolvere i problemi dei singoli individui nelle loro esigenze intime. Lo stato ha dovunque cambiato filosofia. Si è orientato verso la protezione dei più deboli tra i suoi componenti, assicurando loro provvidenze ed assistenze che garantiscono la loro dignità di esseri umani. Di conseguenza, questi hanno acquistato coscienza del loro valore morale, sociale e politico. E giustamente non intendono più abdicare a favore di nessuno. Il 1968 è stato un anno cruciale sotto questo punto di vista. Una richiesta di mutamento di indirizzo politico e sociale e del modus vivendi in genere si è levata dagli ambienti culturali giovanili in tutti i paesi europei indipendentemente dal sistema politico che li reggeva. E’ stata una ventata di libertà e di idealismo non suffragata da una base filosofica chiara, ma sicuramente indicatrice delle aspirazioni giovanili ad un modo nuovo di concepire la politica, i rapporti sociali, le condizioni morali, la vita stessa nelle sue integrali implicanze. Queste aspirazioni non hanno trovato concreta realizzazione in nessuna parte del mondo, per quanto mi risulta. Dirò anzi che, dopo un certo periodo di buone aperture sociali verificatesi in alcuni paesi, pare che si voglia tornare indietro per assumere addirittura posizioni sociali e politiche anteriori al Sessantotto. Si veda l’aumento vertiginoso della disoccupazione e della povertà proprio nei paesi maggiormente industrializzati. E’ certo però che nessuno può illudersi di riuscire nell’attuazione di tale intento.