Proprio oggi, di fronte all’incertezza che stiamo vivendo, la militanza politica è più che mai necessaria. È profondamente sbagliato l’atteggiamento di coloro che ritengono di doversi disinteressare di politica con la scusa che non è affare loro. Al contrario: la politica è affare di tutti i cittadini che fanno parte di un qualunque consorzio umano. Ritengo che conservi ancora il suo pieno valore ciò che Tucidide fa dire nel secondo libro della Guerra del Peloponneso ad un ateniese: “da noi chi non fa politica non viene considerato un uomo pacifico, ma un cattivo cittadino”.

Il senso da dare alla frase di Tucidide è che, nella comunità, non possiamo rimanere passivi e delegare gli altri ad agire in vece nostra. Quando ci comportiamo così, non facciamo che autorizzare l’esproprio della nostra coscienza, il calpestamento della nostra personalità. Non dobbiamo dimenticare che la nostra passività dà via libera all’attivismo decisionistico degli altri. Assodato che non possiamo disinteressarci delle cose politiche, si tratta di stabilire le modalità della nostra partecipazione.

La prima cosa da fare per essere partecipi della politica, in un regime democratico, è quella di esercitare con consapevolezza il diritto di voto, mentre in un regime totalitario non ci resta, nella maggior parte dei casi, che subire le imposizioni altrui. È con il voto, infatti, che scegliamo gli uomini che ci governano. Dobbiamo, inoltre, esercitare tutta la nostra influenza perché la società si muova nella direzione che sembra più giusta per tutti, tenendo però nel massimo conto il parere degli altri, facendone tesoro per evitare nostri ulteriori errori. Non è necessario militare in un partito per svolgere azione politica. Possiamo farlo in mille altri modi, discutendo con la gente dei problemi della comunità locale, regionale o nazionale a cui apparteniamo, senza tuttavia mai trascurare quelli della comunità internazionale. Un modo qualificante di fare politica consiste nell’esercitare, con rettitudine, la nostra professione, o il nostro mestiere. Che essi siano umili o elevati, poco importa. La pratica dell’onestà e la correttezza verso gli altri, mi sembrano indubbiamente le virtù più alte nella militanza politica, perché esprimono il senso dell’equilibrio e della solidarietà sociale, simboli del rispetto che noi portiamo per i nostri consociati, e di quello che i nostri consociati devono portare per noi. Se poi, ci capita di militare in un partito ed essere, in quell’ambito, tra coloro che “contano” dobbiamo operare affinché quel partito si muova nella direzione che ho indicato. Allora scompariranno sicuramente gli egoismi personali, i clientelismi, gli arrivismi ecc…, mentre la politica si affermerà per quello che veramente dovrebbe essere: la scienza che amministra con imparzialità e saggezza il bene comune.