A questo punto è doveroso chiedersi che cosa sia la Verità.

La tradizione ha riposto la Verità in una certezza assoluta.

Il vero, assieme al buono ed al bello, li ha considerati fondamentali attributi della Divinità. Questa dottrina è inammissibile per la sua dogmaticità. Il dogma la pone fuori dalla realtà della vita dell’uomo. Considerata in questi termini, la Verità risulta inaccessibile all’uomo perché trascende ogni possibilità sua di farla propria, se non addirittura di contattarla minimamente.

E non credo certo di esagerare sostenendo che non riuscirà nemmeno a farsene una piccola idea, posta com’è fuori da ogni sua possibilità d’azione.

Ma allora come dobbiamo concepire la verità?

Secondo me essa va posta problematicamente. Essa non è alcun che di assoluto ma di relativo per cui non potrà trovarsi giammai in un punto fissato una volta per tutte. Dovrà, al contrario, essere qualche cosa che muta in relazione ad una determinata circostanza. Dunque hanno ragione i Sofisti a riporre la verità nella persuasione che ognuno riesce ad esercitare con i suoi bei discorsi, mentre Socrate ha torto quando li combatte in nome dell’immutabilità del vero?

Il fatto è che tanto i Sofisti, quanto Socrate hanno estremizzato. I Sofisti hanno avuto il torto di identificare la verità con l’utilità. E infatti consci di quanto fosse importante politicamente la persuasione prodotta da un bel discorso, poiché consentiva a colui che lo avrebbe pronunziato non solo di emergere su gli altri, bensì anche di dominarli, finirono per decretare che in essa soltanto consisteva la verità. Questa dottrina conduceva dritto dritto alla più assurda immoralità giacchè consentiva a qualunque disonesto di legittimare le sue azioni a danno proprio dei più sprovveduti, i quali sono sempre tra i più facili a persuadere.

Non c’è dubbio che Socrate avesse ragione a combattere le tesi dei Sofisti. Il suo torto semmai consisteva nel riporre la Verità fuori dalle possibilità di accesso per l’uomo. Che ciò sia vero, lo dimostrò Platone, il quale per meglio assodare la validità del concetto socratico, ritenne opportuno andare al di là di esso, escogitando la Dottrina delle Idee, per mezzo della quale il concetto socratico, considerato soggetto a cangiamento in quanto entità propria della mente, veniva sostituito con le Idee che, essendo poste nell’Iperuranio (in un luogo quindi dove il mutamento non può verificarsi) risultavano sottratte ad ogni fonte di dubbio. Platone, però, per far comprendere agli uomini che cosa sia la Verità, è costretto a ricorrere al Mito della Reminiscenza, dichiarando impotente la Ragione proprio su quel terreno là dove essa deve necessariamente risultare potentissima.