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Con il dialogo le varie parti mettono serenamente a raffronto le diverse esigenze. Vedono quali tra esse possono essere soddisfatte senza danno di alcuno dei dialoganti. Graduano i tempi perché tutte le pendenze non vengano eliminate con lo scontro, ma non si fa nulla di tutto ciò. Le sue armi sono l’incomunicabilità, l’intolleranza e la violenza, le quali purtroppo approdano soltanto alla sopraffazione e alla soppressione.

Questo è uno dei momenti in cui la coerenza dei componenti della comunità viene meno, giacchè le comunità locali, che pure sono state bistrattate dalla comunità nazionale, od anche da altre comunità locali con la connivenza della comunità nazionale, non possono ritorcere i torti che hanno subito su coloro glieli hanno fatti, servendosi degli stessi strumenti che sono stati praticati nei loro confronti. Così agendo, le comunità locali praticano l’incoerenza, poichè si servono per ottenere i loro sacrosanti diritti di quegli stessi strumenti di cui disapprovano l’uso nei loro confronti. Il fatto è che, obbedendo al proprio particolare, hanno perduto di vista il fine superiore che le fa esistere, il quale è espresso dalla categoria dell’universalità.

Non è questione di intraprendere delle sottili disquisizioni sul valore dell’universalità o della particolarità – giacchè questo è stato fatto con ingeniosa dialettica da filosofi illustri -, bensì di constatare che l’una senza l’altra è priva di senso. I membri di una qualsiasi comunità sociale sanno bene che, stando per proprio conto, non avrebbero possibilità di sopravvivere. Daniel Defoe scrivendo il Robinson Crusoe, ha adombrato tutt’altro che il vero.

Credere che ognuno possa soddisfare le proprie necessità indipendentemente dalla collaborazione degli altri, è cosa che trova giustificazione solo nelle vicende di un romanzo. Persino i briganti costituiscono delle associazioni ben organizzate per portare a termine le loro imprese criminose. La pluralità dei partiti costituisce certamente il tessuto cognitivo della democrazia; ma la partitocrazia la rende malata e, in definitiva, la porta alla morte. I partiti non debbono mai staccarsi dalla realtà del paese che governo. Tutti i loro atti debbono essere ispirati a risolvere i problemi che esso presenta. In ciò soltanto consiste la validità e la legittimità del loro potere. Purtroppo, però, talvolta lo dimenticano e, anziché gli interessi del paese, perseguono quelli di parte. Sorgono allora i dissidi tra loro e si aprono pericolosi vuoti di potere, che mettono in serio pericolo la stabilità del regime democratico. Tutto questo avviene perché i partiti non tengono conto della loro emanazione, assumendo un atteggiamento contrario alla loro natura, che è di carattere popolare. Essi infatti possono anche essere promossi da gruppi ristretti; ma non riusciranno mai ad acquisire la vera vita, se un movimento popolare non li alimenta. Ne segue che i loro interessi vitali si identificano con quelli del popolo che ne esprime il fondamento. Quando perseguono interessi di vertice, vengono meno alla loro coerenza, correndo seri rischi di morte. Anche la comunità corre allora rischi mortali. Deve perciò reagire con prontezza e richiamare i partiti al compimento dei propri doveri. In tal caso, le istituzioni dello Stato debbono serrare le fila e collaborare strettamente tra loro, di modo che il potere centrale non perda vigore, ma sia anzi presente in tutti gli aspetti particolari della realtà comunitaria. Si tratta, inoltre, di indurre anche il potere economico a perseguire con oculatezza il proprio profitto. Esso infatti non deve attuarsi a scapito delle altre componenti della comunità bensì in armonia con il loro prosperare. Non intendo dire che esso non venga guidato nel suo agire, dagli ordini emananti dal vertice dello Stato, giacchè ciò costituirebbe la sua mortificazione, una camicia di forza che ne impedirebbe ogni fiorire, ma che deve sviluppare una forma di autocontrollo che, pur senza limitarne il profitto in modo per esso handicappante, lo faccia procedere senza danno degli altri componenti. Dirò anzi che deve contribuire alla prosperità sociale della comunità intera. Ma è chiaro che ciò non può avvenire se da parte dei detentori del potere economico, si ricorre ad espedienti che tendono a sfuggire ai gravami che impone il far pare della comunità. Essi non possono, cioè, gridare che si organizzi la società in modo da non ostacolare le manovre economiche che pongono in atto, quando essi stessi eludono il fisco non pagando le tasse. Questo non è un atteggiamento democratico, ma soltanto di comodo che indebolisce la democrazia.