Il movimento studentesco prese, a mio avviso, a muoversi in un terreno utopico. Visto che le resistenze al tipo di società che intendeva organizzare erano insuperabili con la propaganda democratica, accostandosi e in parte fondendosi ad alcuni movimenti politici extraparlamentari di sinistra a cui esso stesso aveva dato luogo, cominciò, unicamente ai movimenti politici suddetti, a teorizzare la necessità di una rivoluzione da attuarsi con la forza delle armi. L’ispirazione veniva dalla rivoluzione culturale cinese, che fu assunta come modello nei metodi da praticare e negli scopi da raggiungere. La rivoluzione culturale cinese, come si sa, ha cessato di esistere praticamente con la morte di Mao Tse-Tung senza approdare, a causa del suo eccessivo utopismo e del confuso irrazionalismo che la animava, ad alcun risultato concreto, cosicché i dirigenti della Cina postmaoista hanno finito per rifiutarla nella sua integralità. In Italia poi una rivoluzione siffatta non avrebbe nemmeno potuto mai decollare in quanto non sussistevano le benché minime analogie storiche con la Cina di Mao della seconda metà degli anni Sessanta. Ma gli intellettuali extraparlamentari della sinistra italiana di allora non se ne vollero convincere; intesero anzi passare all’azione diretta, forse psicologicamente condizionati dagli atti terroristici fascisti e dall’atteggiamento non limpido che nei loro confronti hanno assunto le autorità dello stato italiano. Alcuni movimenti della sinistra extraparlamentare, tutti di marca intellettuale nonostante l’operaismo apertamente professato, cominciarono a far vita clandestina o semiclandestina e a gettare le basi per una rivoluzione armata mirante a scardinare le strutture dello Stato democratico in Italia colpevole, secondo loro, di essere totalmente asservito agli interessi della borghesia nazionale e internazionale. Il primo atto clamoroso di questi movimenti armati della sinistra extraparlamentare lo compirono le BR nel 1974 col rapimento del giudice genovese Mario Sossi, che fortunatamente rilasciarono indenne dopo avergli combinato un processo in un tribunale del popolo. Poco tempo dopo fu rapito il giudice De Gennaro e rilasciato dopo breve tempo con le stesse modalità del giudice Sossi. Intanto cominciavano le manifestazioni studentesche che assumevano un carattere piuttosto torbido. Non è stato mai chiaro chi le animasse. Di certo si capiva che non erano composte soltanto da studenti, che intendevano manifestare il loro malcontento in maniera pacifica. Il fatto che cercassero, anziché evitarli, gli scontri violenti con le forze dell’ordine, lo comprova in modo lampante. Tra gli studenti si diffondevano idee anarcoidi, che miravano a scardinare ogni forma di ordine costituito. Una mania di distruzione per il semplice amore della distruzione, regnava soprana in tutte le manifestazioni studentesche. Ne fecero le spese le macchine parcheggiate e le vetrine dei negozi che si venivano a trovare nelle strade in cui avevano luogo. Quasi in ogni manifestazione c’erano contusi, feriti e persino morti o tra i manifestanti o nell’ambito delle forze di polizia. Il numero di coloro che intendevano modificare la situazione politica italiana con le armi andava sempre più crescendo. Moltissimi, specialmente giovani, passavano alla clandestinità. I movimenti rivoluzionari armati proliferavano in gran copia. Questi movimenti si infiltravano nelle assemblee e nelle manifestazioni studentesche, trasformandole in veri e propri atti di guerriglia umana. Tante nostre città ne furono teatro più volte e ne rimasero sconvolte. Il movimento operaio guardò all’inizio il dinamismo studentesco con simpatia, vedendo poi dove sarebbe andato a parare, prese le dovute distanze. Continuò a lottare con i metodi di sempre per avanzare nelle conquiste sociali. Questa lotta ordinata e paziente portò le organizzazioni operaie a contare molti successi economici, sociali e politici e a commettere anche notevoli errori. Tuttavia, nonostante l’infuriare delle gravi provocazioni fasciste, non passò loro mai per la mente di seguire le strade che le organizzazioni armate della sinistra si accingevano a battere. Queste poi, come abbiamo potuto constatare tutti, furono invase da una follia sanguinaria. Le uccisioni di giudici, di poliziotti e carabinieri, di giornalisti e funzionari che avevano il solo torto di compiere il loro dovere con scrupolo per guadagnarsi il pane o – se si vuole – per essere coerenti con gli ideali in cui credevano, non piacquero a nessuno. E il movimento operaio, il nome del quale agivano, li giudicò alla stessa stregua con le quali giudicava il folle sanguinarismo fascista. La conseguenza fu che il movimento armato della sinistra non differì in nulla da quello fascistico e finì isolato con le uccisioni e gambizzazioni che compiva e che, quando gli riesce, compie tutt’ora. Se potè prosperare e compiere atti addirittura impensabili come l’uccisione di Aldo Moro, lo dovette al lassismo delle strutture dello Stato che, ultimo a mutare secondo che le esigenze e i tempi richiedevano, preferivano vivere paralizzate ed assistere inerti allo scempio delittuoso del terrorismo. Ma il terrorismo, sia di sinistra che di destra, è stato rintuzzato, se non proprio sconfitto definitivamente, grazie a una presa di coscienza ed ad una assunzione di responsabilità di tutta la classe dirigente del nostro Paese. Pare che ci si voglia mettere sulla buona strada.
Il Governo e i partiti hanno deciso che è necessario espletare nuovamente le loro funzioni. Tutte le parti sociali hanno deciso di confrontarsi per risanare le piaghe delle nostra società. Pare che l’essere responsabili sia tornato di moda a tutti i livelli. Tutto questo è ancora allo stato teorico, e già qualche piccola benefica conseguenza si avverte; ma le cose andranno senza dubbio ottimamente, se davvero, abbandonando le varie posizioni di comodo in cui individui e categorie si sono trincerati finora, si passerà all’attuazione pratica. In quinto luogo, bisogna tener conto dei meriti di ciascuno, cosa che è caduta in disuso nell’arruffamento sociale di questi ultimi tempi. Pur nel generale disorientamento dell’organizzazione sociale, non sono mancati coloro che hanno svolto il loro lavoro con puntigliosa onestà, esplicandolo con alta competenza ma soprattutto con grande e generoso attaccamento. Ebbene, questi magnanimi individui che hanno dato alla società tutto se stessi, hanno ricevuto in cambio dei loro sacrifici soltanto delusioni. Anziché essere lodati, si è fatta su di loro ironia e c’è mancato poco che fossero addirittura additati al pubblico disprezzo. Non si deve invece dimenticare che sono stati proprio loro che hanno impedito il disgregarsi dell’organizzazione sociale, adempiendo al loro dovere senza fare demagogia, stupido simbolo della più crassa e bassa ipocrisia sociale. Bisogna riconoscere che questi uomini sono stati idealisti, e certamente per questo sono andati incontro all’ironia e alla derisione. In un’epoca in cui ognuno pensa al proprio tornaconto, non ci si può aspettare che gli idealisti raccolgano lodi. Guai però a quelle società che ne sono prive. Il loro sfracello è prossimo ed irrimediabile.