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Non intendo riporre l’organizzazione sociale esclusivamente sulla meritocrazia; del resto anche le società meritocratiche presentano notevoli difetti e non risultano neppure del tutto giuste. Molto spesso infatti i meriti non sono opera esclusiva di chi li possiede. Sono una serie di circostanze fortunate ad attribuirli. Non mi pare che si debba tenerli in considerazione assoluta nemmeno quando scaturiscono da doti naturali. E’ certamente una fortuna avere grandi doti intellettuali o prestanza fisica. Ognuno sa quanto abbia la vita facile chi è bello ed intelligente nell’ottenere il successo. La società ha il preciso dovere di proteggere coloro che la natura ha posto in condizioni sfavorevoli. Deve fare in modo che anche la loro vita sia gradita aiutandoli ad essere utili a sé e agli altri. In questo caso, la società, inserendo nel proprio organismo coloro che la natura ha reso meno fortunati, correggerà la natura nel suo operato rendendosi più degna di stima di lei. La valutazione del merito è dunque indiscutibile. Tuttavia essa va fatta con equilibrio. Senza avere la pretesa di riuscire sempre a cogliere nel segno, penso che meriti e i demeriti vadano attentamente controllati e valutati nella loro scaturigine. In sesto luogo, auspico una applicazione dell’industria più oculata. Secondo quanto viene oramai sostenuto da più parti, anch’io penso che l’era della società industriale volga al tramonto. Bisogna però intenderci bene su questo punto. Non è la validità dell’industria che tramonta – di essa anzi è augurabile un incremento sempre più sofisticato -, bensì la concezione sociale a cui il sorgere e lo svilupparsi dell’industria ha dato luogo. E’ ormai risultato più che chiaro che l’industrializzazione non risolve tutti i problemi umani, come si pensava agli inizi dell’era industriale. Né è più accettabile il criterio dell’assoluta libera iniziativa che pure ha tanto contribuito a farla progredire. L’industria deve essere volta a produrre cose utili per tutti gli esseri umani, e tutti gli esseri umani debbono poterne usufruire. L’industria, come dicevo poc’anzi, non deve essere smantellata, ma applicata a settori benefici e non a settori apportatori di distruzione e di morte. Si cessi di applicarla alla produzione di armi, e la si applichi alla pastorizia e all’agricoltura. Si faccia in modo che essa riempia i granai e non gli arsenali di guerra. La si impieghi nella ricerca di ritrovati nuovi per curare le malattie terribili, che ancora affliggono tanta parte dell’umanità. Solo così l’industrializzazione, alleviando all’uomo il più possibile le sofferenze fisiche e spirituali – giacché le sofferenze del corpo quasi mai si disgiungono da quelle dello spirito- raggiungerà veramente lo scopo di emancipare l’umanità. L’industria è una grande strumento di emancipazione umana se è ben adoperata. Essa infatti è qualcosa di passivo ed inerte che può essere adoperata in sensi diversi come tutto ciò che è materiale. Può essere adoperata per emancipare l’uomo o per schiavizzarlo, per elevarlo o abbrutirlo. Appunto per questo gli uomini hanno bisogno di integrare la loro capacità di adoperare e modificare la natura materiale con quella di migliorare la loro natura spirituale. Di qui la necessità di educarli all’abbandono dell’egoismo, al sacrificio per gli altri, al comune sentire. Ciò si otterrà se ogni singolo uomo sarà educato a riflettere su se stesso più di quanto non si faccia nella nostra epoca. Tutti noi viviamo in modo frenetico; non ci fermiamo un attimo a meditare su quello che siamo veramente. Siamo soltanto pronti ad inseguire ciò che è esterno a noi; siamo capaci soltanto di correre dietro agli agi, alla vita comoda. Se invece ci soffermassimo per qualche istante a guardare dentro di noi, impareremo a comprendere che abbiamo limiti, che siamo soggetti a mille sofferenze, che le sofferenze degli altri potrebbero essere anche le nostre. Se riusciremo a ritrovare noi stessi, troveremo sicuramente anche gli altri. Leggiamo nei giornali che nei paesi del terzo mondo tanti nostri simili muoiono di fame, sono afflitti da malattie che da noi sono state debellate da tanto tempo. Eppure non ce ne importa niente, poiché noi stiamo bene e non sappiamo immedesimarci nella loro sofferenza. Questo deriva dal fatto che viviamo in maniera superficiale, tutti volti a ciò che è fuori di noi. Educhiamoci ad una maggiore introspezione, ad una più attenta analisi di noi stessi, ed avvertiremo certamente il valore degli altri con tutti i problemi che li affliggono. Se riusciremo in ciò, cambierà completamente la nostra mentalità, la nostra cultura, il nostro modo di comportarci. Ma questo deve avvenire non solo a livello di individui, ma anche a livello di società. Allora scomparirà l’egoismo individuale e, per conseguenza, anche quello nazionale; gli individui collaboreranno tra loro così come faranno le nazioni. Continueranno a sussistere le diverse società, ma non le barriere tra di loro. Si dirà che questo mio modo di pensare è utopico, che non è traducibile in realtà oggi e che non lo sarà domani. Io rispondo che è necessario dare tempo al tempo. Sono convinto che tutto il tendere umano sia volto nella direzione da me indicata, anche perché, come ho dimostrato lungo tutto questo scritto, essa è l’unica direzione che consente all’umanità di vivere in pace e di evitare così la propria distruzione. La guerra che potrebbe mandare in rovina il genere umano, non proviene dalle ideologie diverse – e quindi dai dissensi tra America e Russia -, bensì dalle esigenze vitali inappagate dei paesi sottosviluppati. I paesi del mondo Occidentale e quelli del mondo Orientale, nonostante i loro dissensi ideologici, hanno in comune l’alto sviluppo industriale e il loro sviluppo economico e sociale che procurano ai loro cittadini benessere e conforti svariati. I paesi del Terzo e del Quarto mondo sono totalmente carenti di tutto ciò. Essi sono oggi a livello di nazioni di fronte ai paesi industrializzati, quello che era nel secolo scorso il proletariato di fronte alla borghesia quando la società industriale si stava affermando. E come il proletariato di allora chiedeva alla borghesia il diritto di emanciparsi dalle dure condizioni di povertà e di sottosviluppo in cui si trovava, così oggi le nazioni sottosviluppate chiedono a quelle sviluppate il diritto di essere sullo stesso piano, non potendo tollerare ulteriormente di assumere il ruolo di nazioni inferiori. A me pare che i paesi industrializzati debbano tenere nel giusto conto le richieste dei paesi del sottosviluppo non tanto per una questione umanitaria, bensì per garantire il pacifico ed armonico sviluppo di tutto il genere umano, il quale altrimenti non ci sarà di certo. Se si vuole che le profezie di Marx vengano ancora una volta smentite, i paesi evoluti devono venire a patti con quelli sottosviluppati così come è venuta a patti a suo tempo la borghesia col proletariato. Le profezie di Marx non si realizzarono grazie alla avvedutezza della borghesia che, patteggiando con il proletariato e facendogli le debite concessioni, ne smorzò lo slancio e l’impeto rivoluzionario, integrandolo nel sistema con l’apportare a questo le dovute modifiche, che lei aveva creato e consolidato con lo sviluppo dell’industria. La lezione storica che la borghesia, ha espresso già nel secolo scorso, non può essere dimenticata oggi dai popoli altamente industrializzati, se non vogliono correre i rischi che essa ha saputo evitare. I veri eredi del rivoluzionarismo predicato da Marx non sono oggi i Paesi Orientali retti a sistema socialista, bensì i paesi sottosviluppati. Sono questi infatti che una volta che abbiano finito di prendere coscienza della loro forza e del valore del loro peso sulla bilancia del mondo, adotteranno la forza fisica per far valere i propri diritti qualora non li ottengano pacificamente. I paesi industrializzati devono realisticamente prendere atto della novità rappresentata dai paesi del sottosviluppo impostando nei loro confronti rapporti radicalmente diversi da quelli attuati finora. Devono vederli non come paesi da potere sfruttare e tenere nell’abbrutimento, bensì come paesi con cui dialogare da pari a pari ed aiutare nella soluzione dei loro problemi, di modo che il contributo nella vita del nostro pianeta sia riconosciuto nel suo pieno valore. Una volta che sia avvenuto questo, si può star certi che il potenziale rivoluzionarismo che ora è abbastanza alto, si dissolverà totalmente.

Terminato di scrivere il 12 Febbraio 1983.