I valori, come fin qui mi sono sforzato di mettere in chiaro, hanno necessità di un fondamento metafisico, nel senso che, per poterli formulare, la nostra coscienza non può fare a meno di riferirsi ad elementi che la trascendono, i quali non sono mai riducibili a se stessa. Tuttavia, non è male ripeterlo, essi non avrebbero alcun senso senza il suo riferimento. Di conseguenza, si deve dire che, nonostante la necessità del riferimento metafisico, i valori si esplicano nella storia e solamente in essa. Ora, pare abbastanza evidente che la nostra condotta di esseri umani è ad essi affidata. Sono i valori che ci qualificano mediante le opere che veniamo realizzando. Noi siamo liberi di servirci, nella conduzione delle nostre azioni, dei valori che riteniamo più confacenti alle nostre esigenze.
Ma da ciò dipende anche il nostro essere egoisti o altruisti, magnanimi o gretti, giusti o ingiusti, buoni o cattivi. Ho l’impressione che, nel tempo in cui ci troviamo a vivere, ognuno pretenda tutto per sè, poco importandosi di ciò che spetta agli altri e che egli dovrebbe spontaneamente concedere. Il fatto è che si è entrati nell’ottica dell’avere anziché in quella dell’essere, per dirla con il titolo di una celebre opera di Erich Fromm, con grave danno dei rapporti sociali, i quali devono necessariamente fondarsi sulla solidarietà e sulla fiducia degli uni verso gli altri.
Seguendo questa strada rischiamo di fare notevoli passi indietro sulla via della civiltà, avviandoci verso un ritorno alle barbarie, anziché innalzarci alle vette luminose della spiritualità, nelle quali lo spirito umano risulta sempre più moralmente affinato. Non è questa certamente la cultura che dobbiamo seguire. Capisco quanto sia comodo e piacevole condurre una vita agiata in cui i nostri desideri trovano appagamento senza eccessiva fatica. Ciò significa essere sempre sereni e non avere avversità da superare. Il benessere, nei suoi diversi aspetti, è la base di una simile vita; e non c’è dubbio che esso sia uno dei valori di somma importanza. Sappiamo che il suo perseguimento ha consentito alla vita di allungarsi in maniera notevole. Se si pensa che nei Paesi industrializzzati la vita media ha raggiunto l’età di settantasette anni e mezzo per le donne e settantadue per gli uomini, dico che possiamo ben rallegrarci, soprattutto quando riportiamo la nostra mente al Medioevo, nella quale la totale mancanza di qualunque forma di benessere fissava la media della vita all’età di ventiquattro anni. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che, se la conservazione della vita umana è considerata uno tra i valori supremi nei Paesi industrializzati, la stessa cosa deve valere nei Paesi sottosviluppati. Non pare però che gli abitanti dei Paesi sviluppati siano sensibilizzati in tal senso. Si sa infatti che nei Paesi sottosviluppati muoiono di fame oltre 19 milioni di bambini all’anno. I mass-media ne diffondono la notizia; ma nessuno se ne dà molto pensiero. Anzi, ad onor del vero, ora pare che i governi industrializzati si comincino a preoccupare dei problemi gravi che stanno affliggendo i Paesi in via di sviluppo. Si parla, con notevole frequenza di voler condonare gli enormi debiti che questi hanno contratto con le banche dei Paesi Occidentali per assicurarsi un minimo di sopravvivenza. Purtroppo la preoccupazione dei Paesi industrializzati per i Paesi in via di sviluppo non è dettata da un senso di umana solidarietà, bensì da una strategia politica. Essi, infatti, si stanno rendendo conto che i Paesi in via di sviluppo non accettano più di essere considerati come Paesi subalterni sulle cui spalle può essere presa qualunque decisione. Ormai stanno prendendo coscienza, se pure con una certa lentezza, del loro valore politico ed economico e dell’enorme peso che possono esercitare nella bilancia della politica mondiale. Sino a che, tuttavia, l’interessamento dei governi dei Paesi sviluppati per i Paesi in via di sviluppo sarà soltanto di strategia politica c’è sempre il rischio che esso possa andare in una direzione sbagliata, nel senso che esso venga a cessare appena le circostanze lo consentano. Si ha il timore, e certo non manca di fondatezza, che l’apertura creata nei Paesi dell’Est Europeo dal crollo del comunismo induca i Paesi capitalisti del mondo Occidentale a convogliare le loro finanze in quella direzione verso i Paesi sottosviluppati del sud, poiché la rendita economica suggerisce la soluzione di un tale comportamento. Il comunismo ha portato i Paesi dell’Est ad una vera e propria rovina economica e la perestrojka di Gorbaciov ha prodotto effetti dirompenti anziché rimedi su questa rovina, perché ha finito per stritolare quel poco di buono che il comunismo non aveva ancora maciullato. Infatti il brusco passaggio da una totale assenza di libertà in tutti i campi alla concezione di una libertà un poco artefatta, ha determinato un pauroso sbandamento politico, in quanto il totalitarismo più intransigente è stato sostituito da un libertarismo incontrollato e incontrollabile, e l’anarchia più sfrenata ha spesso preso il posto della libertà basata sul consenso.
Questo, in campo economico, ha causato una vera e propria paralisi che risulta molto pericolosa per la riuscita dell’instaurazione dei regimi democratici in quei Paesi. Non c’è dubbio che i Paesi occidentali, decidendo di aiutare economicamente i Paesi dell’Est Europeo con i governi post-comunisti che vi si sono affermati, si muovano nella direzione giusta poiché contribuiscono, in primo luogo, ad alleviare le sofferenze dei popoli di quei Paesi già per tanto tempo duramente provati. In secondo luogo, ad evitare il pericolo di nuove tentazioni politiche autoritarie che non gioverebbero affatto all’amicizia e alla collaborazione solidale di tutti i popoli del nostro continente. In terzo luogo, a far maturare la democrazia in un terreno che non è stato mai, almeno fino ad oggi, troppo a lei propizio secondo quanto la storia ci ha insegnato. I Paesi industrializzati dell’Occidente sanno bene però che i loro aiuti non possono essere diretti soltanto verso i Paesi dell’Est dell’ex-comunista, ma in ogni parte del mondo dove di essi si abbia bisogno, perché solo così potranno alleviare le sofferenze dei popoli, sconfiggere le politiche autoritarie e far allignare e maturare la democrazia anche nei terreni a lei meno propizi.
So bene che l’esercizio di una prassi tanto onesta comporta un assoluto disinteresse, cosa che in politica è difficile da realizzarsi tanto da parte degli individui quanto da parte dei popoli. D’altro canto, tutte le opere grandi e buone sono difficili da portare a compimento e solo la volontà forte e spassionata può riuscirci. Nella fattispecie, l’opera grande e buona da compiere consiste nel sottrarre la maggioranza del genere umano all’arretratezza e all’emarginazione e nell’adeguarla all’evoluzione e alla civiltà di quella minoranza più fortunata. E’ un compito molto arduo per la cui realizzazione occorre una grande disponibilità. Cosa che si può ottenere soltanto dietro una preparazione paziente e faticosa. Se diamo uno sguardo all’aspetto più appariscente del tempo nostro, un simile compito sembra non solo inattuabile,ma addirittura improponibile. Eppure non mi sento di vedere le cose alla luce del pessimismo più nero. Sono certo che si può ottenere una radicale inversione di rotta se la parte più consapevole dell’umanità vorrà decidere di assumere un atteggiamento più conforme ai sacrifici che sono necessari perché l’umanità intera possa usufruire delle comodità e del benessere che la scienza, la tecnica e l’evoluzione della civiltà, hanno prodotto.
Come tradurre questo in atti concreti? Ritengo che sia doverosamente necessario praticare una cultura diversa rispetto all’attuale, che ha come fine principale l’egocentrismo. Ognuno pensa di vivere il meglio possibile senza preoccuparsi affatto di come vivano gli altri. Il vicino non conosce il vicino perché non sente interesse a farlo, chiuso com’è nella sua autosufficienza. E’ un fenomeno sociale che fa paura. Non saprei dire, in questo preciso momento, dove porterà, ma non riesco ad esimermi dal pensare che il risultato non potrà che essere catastrofico per il genere umano se si insiste a camminare per questa strada.
La spietatezza con cui ogni singolo individuo tende a mettere in primo piano se stesso ha generato ai nostri giorni la cultura della violenza e della sopraffazione. Si uccidono i propri simili per una manciata di lire, non tenendo in alcun conto il valore della persona umana. Chi poi non riesce ad emergere sugli altri, si annega nei paradisi artificiali della droga, contento di godere, così, di quella felicità che gli hanno procurato con la sopraffazione del prossimo. Purtroppo però colui che si droga non è meno violento di chi, sentendo di essere forte, concretizza le proprie aspirazioni, ricorrendo senza porsi il minimo scrupolo alla altrui sopraffazione. Infatti il drogato, quando entra in astinenza, cade nella più tetra disperazione non soltanto sotto l’aspetto fisico, ma anche sotto l’aspetto morale, disperazione da cui un pressante istinto biologico lo induce ad uscire. Per far questo è deciso a mettere in pratica ogni possibilità che suppone concretizzabile, poco o nulla preoccupato della sua liceità giuridica o morale.
Specie in questi ultimi trenta o quarant’anni, la scienza e la tecnica hanno fatto progressi impensabili. Mai si sarebbe pensato, negli anni trenta del nostro secolo, che l’automazione, l’informatica ,avrebbero toccato i traguardi che hanno raggiunto attualmente. E ciò che meno ancora si sarebbe pensato è che questi progressi tecnico-scientifici avrebbero penetrato, almeno nei Paesi industrializzati, il mondo delle masse più infime, soddisfacendo tutti o quasi i loro bisogni, di modo che ogni loro esigenza è stata tacitata. Il tenore di vita delle masse più povere si è elevato uniformandosi a quello della piccola borghesia. Il modo di vivere della piccola borghesia, se considerato dal punto di vista materiale, non è cambiato molto rispetto ai primi decenni del nostro secolo, se si eccettua il fatto che anch’esso ha usufruito delle nuove scoperte della scienza e delle nuove invenzioni della tecnica fatte da allora ad oggi. E’ innegabile però che il prestigio della piccola borghesia è di gran lunga diminuito per non dire che, sotto molti versi, si è totalmente vanificato. Ma quel che è peggio è che essa non ha ormai nessun potere politico e sociale perché ha perduto ogni forza contrattuale nella società. Gli insegnati, gli impiegati, i funzionari dei vari settori amministrativi sono considerati un ceto improduttivo e quindi da retribuirsi anche in base alla considerazione che se ne ha. D’altro canto, nel disordine in cui vivono dal punto di vista spirituale le società industrializzate, le proteste di questo ceto cadono nel vuoto. Se si fermano le amministrazioni dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, se le scuole si chiudono perché gli addetti scioperano, si è portati a pensare, da parte della maggioranza della popolazione, che non succede nulla di male perché tutto ciò non causa alcun danno grave a nessuno. Anzi il danno più grave capita proprio a loro in quanto perdono lo stipendio e quindi, o prima o dopo, riprenderanno certamente a lavorare se non vogliono ridursi alla fame. Quando invece scioperano gli operai, manca la corrente elettrica, non funzionano i telefoni, le merci scompaiono dai negozi perché non vengono trasportate per la distribuzione, si fermano le fabbriche e tutte le attività materiali di un Paese si paralizzano.
Io penso che accettare questo modo di vedere significhi avere un senso distorto di quella che è la realtà vera; significhi avere una concezione confusa dei valori che essa esprime. Se nelle società industrializzate si avverte un malessere che procura crisi fastidiose nel modo di vivere, non si deve andare a ricercarle in chissà quali mali oscuri, bensì nella sconvolta concezione della scala dei valori vigente in tale società. Sono convinto che, ponendo ciascun valore al posto che gli compete nella gerarchia, ogni forma di crisi e di malessere sociali si saneranno. La terapia che bisogna adottare per conseguire un esito, non mi sembra poi tanto difficile. E’ opportuno non fermarsi a ciò che ci forniscono i sensi, quando vogliamo giudicare la realtà nel suo complesso. Bisogna non dimenticare che i sensi si fermano all’apparenza delle cose e che non sono in grado di andare al di là dell’empirico: ossia della sconnessione e della disorganicità. Superiamo la fase sensibile del nostro conoscere, pur senza metterla in disparte, e arriviamo a servirci di quella razionale. Avremmo allora una visione più coerente e più logica del mondo in cui viviamo. Allora giudicheremo naturale ciò che è proprio della natura, umano ciò che è proprio dell’uomo e perché no? divino ciò che è proprio di Dio. Allora capiremmo che la materia è inferiore allo spirito e che la mano, per eseguire magnificamente il suo lavoro, bisogna che sia diretta e guidata dalla mente. Capiremmo inoltre che, pure attribuendo al lavoro manuale il giusto valore che merita, quello intellettuale occupa un gradino superiore poiché occorre esercitare l’intelligenza per poterlo svolgere.
Una volta chiarito il senso giusto della scala dei valori, mi sembra che la cosa che ancora ci resta da fare, sia quella di elevare i valori stessi verso le idee, intendendo queste come punti universali di riferimento, che ogni mente umana pone soggettivamente. L’universalità e la soggettività di questi punti di riferimento stabiliti dalle vaie menti degli uomini non possono determinare una situazione di contrasto poiché essi risultano comunicabili da mente a mente nella misura in cui ogni mente è capace di concepirli ed esprimerli perché le altre menti, a loro volta, li concepiscano e li esprimano. Le idee insomma, di cui io parlo, non cessano di essere concetti mentali, com’è avvenuto per quella di Platone, ne hanno quindi carattere di assolutezza giacché il loro livello può essere sempre posto più in alto, o in periodi di civile imbarbarimento, situato anche più in basso rispetto al livello fissato in precedenza. Questi sono i momenti in cui la civiltà umana si rabbuia poiché la nostra specie dimentica le conquiste spirituali che ha raggiunto e non tiene in alcuna considerazione il patrimonio culturale che ha prodotto. Qualcuno, a questo punto, mi chiederà: “qual è la differenza tra le idee e i valori?” Le idee, come del resto i valori, si poggiano necessariamente su un fondamento metafisico, nel senso che esso è fuori di noi e che non riusciamo mai ad interiorizzarlo. La nostra ragione ne riconosce, per così dire, la funzionalità, ma ben poca altra cosa sa dire di esso. Tale fondamento metafisico di oggettività su cui i valori e le idee si fondano, non impedisce alla nostra mente di pensare in modo autonomo ossia di formulare i concetti che ritiene opportuni. Resta inteso però che la mente non può dimenticare che davanti a lei si staglia quel fondamento metafisico su cui i suoi concetti vengono a poggiarsi. Ciò significa che la nostra mente è autonoma nel concepire i propri pensieri nella misura in cui lo può essere. Infatti senza quel quid di oggettivo che le si stende davanti, essa sarebbe addirittura incapace di adempiere alle proprie funzioni: cioè di pensare. I pensieri per sussistere come tali, debbono avere un nesso. Il nesso consente loro di significare qualche cosa che la mente è capace di intendere. In altre parole: solo se hanno un nesso, i pensieri esprimono un contenuto, altrimenti sono vuoti. Ma i pensieri vuoti non possono esistere giacché essi sono pensieri solo quando significano ciò che la mente vuole esprimere. D’altro canto, la mente, pensando, deve di necessità concepire qualche cosa, giacché esprimere nulla equivale a non pensare. Ora, la nostra mente dà il nesso ai suoi pensieri, facendo riferimento a quel fondamento metafisico che oggettivamente le si pone davanti e che, pur senza costringerla in maniera assoluta a volgersi verso una determinata direzione, le ricorda che senza di esso le sarebbe impossibile esplicare il suo compito. Questo vuol dire che, quando essa non è stravolta, deve produrre pensieri che abbiano un certo ordine, il quale non è valido soltanto per lei che lo produce, ma anche per le altre menti, le quali, se sono sane, lo colgono come suo messaggio e in esso si ritrovano allo stesso modo in cui essa coglie l’ordine dei pensieri delle altre menti e vi si ritrova. Pare abbastanza chiaro che fanno un discorso privo di senso coloro che sostengono l’incondizionatezza della nostra mente nel produrre ed organizzare i suoi pensieri in quanto, come ho or ora dimostrato, essi non possono affatto sussistere se non vengono riferiti a quel fondamento metafisico che costituisce inderogabilmente la loro base. Bisogna però precisare che il fondamento metafisico, su cui la mente basa i suoi pensieri, non è qualche cosa d‘immobile e d’immutabile che si contrappone alla mente senza alcuna possibilità di conciliazione con essa, al contrario, la mente, producendo ed organizzando i propri pensieri, adegua il fondamento metafisico alle sue esigenze, ma, in una certa misura, è, a sua volta, adeguata alla situazione del fondamento metafisico stesso.
Noi siamo soliti distinguere con nettezza ciò che è per natura da ciò che è per convenzione. Diciamo che una certa cosa è per natura poiché è stato il mondo esterno a noi che ce l’ha imposta. La nostra mente l’ha ricevuto così com’è senza che abbia potuto intervenire a costruirlo o modificarla. Diciamo invece che è per convenzione quando la nostra mente, in accordo pieno con le altre menti, l’ha costruita e l’ha imposta al mondo esterno. Nel primo caso, è l’oggetto che prevale sul soggetto; nel secondo, è il soggetto che ha la meglio sull’oggetto. Entrambe le posizioni sono vere e false nello stesso tempo. Si danno infatti, situazioni in cui risulta più conforme al vero il realismo, e situazioni in cui il vero lo esprime meglio l’idealismo. Certo è che l’assolutizzazione rende false entrambe le posizioni e anzi fa di esse delle ideologie astratte che non trovano fondamento alcuno nella quotidianità del reale. Se le idee, come ho detto più sopra, sono momenti universali che ogni mente è in grado di stabilire come traguardi elevati verso cui non solo lei stessa deve tendere per acquisire un evoluzione superiore rispetto a quando ha deciso di fissarli, ma anche le altre menti che intenderanno evolversi, vi dovranno necessariamente approdare, i valori sono invece degli atti che le menti pongono in essere per raggiungere i traguardi che si sono prefissi, i quali, in base alla definizione che ho formulato, altro non sono che le idee. La conclusione che posso trarre dal sito dei valori, è l’auspicio che le menti di tutti gli uomini fissino le loro idee nella parte più alta possibile nel fondamento metafisico che hanno davanti, in quanto è il solo in cui si può attingere la solidarietà reciproca tra tutti gli esseri umani; la luce che rende più piena e più vera la nostra umanità; il bene che, nella sua diffusione, rende spontaneo e completo ciascuno di noi nella relazioni con gli altri.
Finito di scrivere il 3 Aprile 1991.