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Menti eccelse hanno disputato a lungo su queste questioni. Eppure dopo tanti e tanti secoli di dispute non si è riusciti ancora a venirne a capo. Nell’Antichità e Medioevo si è sostenuto che i valori erano esclusivamente oggettivi. L’uomo doveva prendere atto della loro esistenza, accettare l’ordinamento gerarchico che presentavano ed essere consapevole di potervi apportare alcuna modificazione. Erano tempi in cui l’anima umana fungeva esclusivamente da specchio del mondo esterno, o veniva concepita come in totale balìa della divinità, costretta ad accettare passivamente le sue imposizioni. Il Rinascimento portò un’innovazione radicale. Le dottrine che relegavano l’uomo nella passività, furono abbandonate e, al loro posto, si approvarono quelle che inneggiavano al suo attivismo. L’uomo venne proclamato centro dell’Universo. Egli conteneva in sé, in misura ridotta, tutto ciò che l’Universo comprendeva in modo ampio. Perciò fu definito un “microcosmo” e in rapporto all’universo, che era il “macrocosmo”. L’uomo non viene più considerato una cosa abbietta e vile, come era avvenuto nel Medioevo, bensì l’elemento principe dell’Universo. Dio ha creato la natura in sua funzione, giacché egli è destinato a disvelarne i segreti e a dominarla. In tal modo l’uomo cerca di avere il dominio della natura, in primo tempo con la magia, successivamente con la creazione della scienza, la quale, secondo l’ideale di Francesco Bacone, consentirà all’uomo di fare della natura, almeno in maniera parziale, il proprio regno.

A partire dalla nascita della scienza moderna, l’uomo svilupperà un preciso metodo d’indagine nei confronti della realtà naturale. Le scuole indagatrici saranno fondamentalmente due: l’empiristica e la razionalistica. La scuola empiristica riterrà che la realtà si può conoscerla solo se l’indagine prende le mosse dell’esperienza sensibile, da ciò che è particolare ed empirico. La scuola razionalistica invece penserà che la realtà abbia come fondamento i principii della ragione, e che quindi solo partendo da essi possiamo entrare in possesso della sua conoscenza. Queste due scuole, tuttavia, risultarono inadeguate a fondare una conoscenza vera. Perciò Kant, come ho già detto in altra parte di questo scritto, assumendo quanto l’una e l’altra presentavano di valido, realizzò la sintesi a priori, con la quale dotò la conoscenza di un metodo adeguato alla sua fondazione.

La sintesi a priori di Kant affermava la necessità che fatti ed idee fossero strettamente correlati affinché la conoscenza potesse attuarsi in modo valido; determinava anche dal punto di vista della filosofia moderna il sito dove andavano collocati i valori. Questi, infatti, non possono che occupare quel tratto di spazialità spirituale che viene a trovarsi interposto tra i fatti e le idee. E’ da dire subito che la concezione che si aveva dei valori nel Mondo Antico ed in quello Medioevale, risulta priva di fondamento perché esclude ogni azione partecipativa dell’uomo alla sua fondazione. Non si capisce, infatti, come l’uomo potesse conferire il senso di valori a una gerarchia di concetti che egli non contribuiva a formulare. Le Idee platoniche, costituendo il mondo intellegibile, erano i modelli fondanti il mondo sensibile. Ogni oggetto del mondo sensibile era una imitazione (o una partecipazione) di un’idea. Le idee erano disposte gerarchicamente in funzione dell’Idea del bene. Questa le illuminava e le qualificava, nel senso che ognuna di esse aveva tanto valore a seconda della posizione che occupava rispetto a quella, e a seconda della luce che da quella riceveva, visto che era la luce dell’Idea del Bene a dare ad ogni altra idea la vita ed il senso di esistere. Non diversamente andavano le cose nell’Etica di Aristotele. Le virtù etiche occupavano nella struttura del mondo propriamente umano – di quel mondo cioè fondato non dalla necessità ma dalla libertà- un gradino inferiore alle dianoetiche. Le prime concernevano l’azione che era la regola di cui si basava tutta la vita pratica, le seconde esprimevano la contemplazione, che regolava il mondo del pensiero. Tra le virtù dianoetiche, la sapienza era quella che si poneva più in alto di tutte perché possedeva in sommo grado l’ideale contemplativo. Ad essa si ispirava il saggio, la cui vita, serena ed autosufficiente, raggiungeva la perfezione. Il Cristianesimo, benché si rifacesse ad una concezione spirituale molto diversa, si muoveva, per quanto atteneva alla concezione dei valori, nello stesso ambito dottrinale del platonismo e dell’aristotelismo, da cui non differivano in nulla le altre filosofie del Mondo Antico. Le dottrine agostiniane sulla conoscenza, i gradi di ascesa a Dio che proponevano i mistici, l’itinerario della mente verso Dio di San Bonaventura, la morale di San Tommaso D’Aquino, ecc., prospettavano una scala oggettiva di valori, che l’uomo accettava con umile sottomissione poiché il solo pensare di modificarla implicava il peccato, in quanto creava uno sconvolgimento dell’ordine naturale e morale stabilito da Dio.