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E’ una domanda, lo confesso, a cui mi risulta molto difficile rispondere. Infatti il quesito, nonostante le apparenze contrarie, comporta implicazioni diverse. Comincerò col notare che il termine è abbastanza ambiguo. Se lo si guarda dal punto di vista etimologico, ogni dubbio sembra fugarsi. Esso significa ottimo, o, quantomeno, il migliore tra tutti. Ma è veramente così?

Forse si può concordare con l’etimologia del termine, ma occorre certamente far un esame dettagliato prima di giungere ad una simile concordanza. Nelle società barbariche, il cui carattere dominante è quello militare, aristocratici sono i dominatori: gli Adaligi nelle società germaniche primitive, i Vassalli maggiori, i Valvassori e i Valvassini e i cavalieri nella società feudale. A Roma e in Grecia, e nelle società antiche in genere, sono aristocratici i grossi proprietari terrieri che fondano la loro nobiltà sul potere che detengono. Per onestà storica, dobbiamo dire che questi aristocratici non sempre sono stati i migliori della società, come ritiene Platone, il quale afferma che il governo fondato sull’aristocrazia è quello tra i più auspicabili per il disinteresse privato che assumono i governanti. Scorrendo il tormentato cammino della storia, siamo costretti a contraddire Platone, giacché esso è costellato dei soprusi commessi dagli aristocratici per fondare, consolidare e difendere i loro privilegi, sia come casta, sia come singoli individui.


Nietzsche sostiene in “ Al di là del bene e del male “ che l’origine dell’aristocrazia è dovuta alla sua volontà di potenza. Gli aristocratici deriverebbero da una società barbarica caratterizzata da una spiccata volontà di affermarsi. I suoi membri si sarebbero riversati su popolazioni pacifiche ed accostumate, dedite all’agricoltura e al commercio; le avrebbero sottomesse e instaurato il loro dominio. Nietzsche è un ammiratore di questi barbari perché dotati di grande volitività, cosa che ha consentito loro di dominare su gli altri perché erano meno volitivi. Nietzsche intende questa spiccata volontà come una qualità superiore di alcuni uomini o gruppi sociali rispetto al resto dell’umanità; e perciò è convinto che questi debbano anche essere i dominatori. Essi sono certamente i “superuomini”, i filosofi e i legislatori dell’avvenire. Sono d’accordo con Nietzsche che coloro che posseggono una grande volitività abbiano, rispetto agli altri uomini, una qualità superiore, ma non mi trovo d’accordo con lui nell’assegnare a costoro la parte di dominatori.


Io, per dirla con Gino Capponi, sono convinto che nella società si debbano “alzare i piani e abbassare le altezze “. Si debba cioè praticare quella democraticità che a Nietzsche riusciva tanto sgradita. Non intendo negare i meriti personali, ma nemmeno estenderli a tutta una casta. L’aristocrazia non si fonda su una casta di appartenenza, bensì sulla singolarità degli individui. Un individuo può definirsi aristocratico quando pone le sue qualità superiori al servizio di coloro che la natura ha meno dotato di lui e non quando se ne serve per sopraffarli. Il poeta greco Focilide sosteneva, già nel VI° sec. a.C., che la vera nobiltà non è quella che si eredita per nascita, ma quella costituita dalle nostre qualità. Ciò significa che aristocratico è colui che pone al servizio degli altri uomini le proprie doti naturali e li guida nel difficile cammino della loro evoluzione. Non intendo abolire le gerarchie nella società. Una società di eguali è inconcepibile. Gli utopisti che l’hanno descritta, sono stati sognatori ad occhi aperti; e quelli che, come Lenin, l’hanno messa in pratica, sono incorsi in un clamoroso fallimento, i cui effetti risultano proprio oggi più che mai pesanti. I problemi però che hanno indotto questi utopisti a mettere in pratica le loro idee da cui sono sorti gli esiti sociali maldestri che stanno sotto i nostri occhi, sono tuttora irrisolti e l’aspirazione a risolverli non è certamente morta. C’è anzi nel mondo un gran fermento che prospetta l’esigenza di dare ad essi una sollecita soluzione. Il socialismo quando ha preteso di estremizzare le proprie posizioni attuando il comunismo, è andato incontro ad un fallimento inesorabile. Tuttavia le sue idee sono ancora vive nelle aspirazioni degli uomini tanto più che i problemi che implicavano sono ben lontani dal trovare una soluzione adeguata. L’aristocrazia dunque è data dalla bontà, dall’altruismo, dalla capacità di sacrificare se stessi a favore degli altri pur senza essere martiri. L’aristocrazia non esige l’annullamento, ma soltanto la disponibilità a scomodarsi. L’aristocratico può essere laico o credente; la sua fede religiosa o la sua laicità non sono determinanti nella sua qualificazione. Molto importante è invece, per la sua caratterizzazione, che egli sia diffusore di bene e di umanità; tollerante e apprezzatore delle altrui opinioni, antidogmatico, disponibile al dialogo e umile tanto nell’affrontare i problemi, quanto nel ricercare le soluzioni. Esigerà per sé il massimo rispetto ed altrettanto ne porterà agli altri. Ogni suo atteggiamento, ogni sua azione saranno indirizzati alla salvaguardia della dignità dell’uomo la cui inviolabilità sarà sempre il suo massimo obiettivo. La cordialità e la socievolezza saranno continuamente sue inseparabili compagne. La simpatia lo renderà vincente nelle battaglie che combatterà per l’elevazione dei suoi simili.