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Crediamo, vivendo nella civiltà postindustriale, di trovarci un era di alto progresso civile, eppure conviviamo con situazioni di profonda barbarie. La crescita smisurata delle città evidenzia la mia affermazione pessimistica.


Ritengo che una civiltà possa veramente definirsi tale quando pone tutti gli uomini nella condizione esistenziale delle situazioni che è capace di offrire. La crescita incontrollata delle città sta invece offrendo a una grandissima quantità di abitanti del nostro pianeta condizioni subumane. Nel Terzo Mondo il fenomeno è più macroscopico rispetto ai Paesi industrializzati. Tuttavia non si può dire che anche in questi Paesi esso non si faccia sentire.
La crescita smisurata delle città provoca insensibilità e indifferenza degli uni verso gli altri. Il vicino non conosce il vicino perché non sente affatto l'esigenza di conoscerlo.
Nasce da qui la mancanza di solidarietà che caratterizza la nostra epoca. Ed ecco allora svilupparsi la violenza, la sopraffazione dei più deboli e la loro emarginazione, dal momento che non sono in grado di inserirsi di forza nella società in cui vivono. Vivere in una grande città significa avere necessità di un certo quantitativo di denaro per poter condurre una vita accettabile, e nessuno intende, giustamente, rinunciare a questo elementare diritto. Ciò induce coloro che si sentono validi fisicamente e intellettualmente a ricorrere a qualunque mezzo per conseguire lo scopo. In tal modo si sviluppa la criminalità più spietata, giacché nella convinzione di chi la pratica nasce l'idea che questo sia il modo da seguire per poter ottenere ciò che le leggi civili non concedono. Questo è certo un procedimento di comodo, perché ormai non si conosce più la rinuncia dignitosa ma si mira sempre a seguire i procedimenti che ci portano ad emergere, convinti che dobbiamo uniformare la nostra vita a coloro che finora l'hanno condotta in maniera più agiata di noi.